
Tra i neologismi coniati recentemente nel vocabolario geopolitico il più importante sembra essere AfPak.
Con questo termine i consulenti del governo Obama hanno designato il conflitto cruciale che si sta svolgendo in Asia: la lotta al terrorismo islamico in Afghanistan e in Pakistan.
Parlare solo di terrorismo appare però riduttivo e funzionale più che altro a giustificare agli occhi dell'opinione pubblica la presenza di contingenti militari occidentali nell'area; lo scenario asiatico risulta infatti determinato soprattutto da fattori di carattere economico e strategico.
La regione afghano-pakistana si trova tra l'Iran, ricco di petrolio e gas, l'India, che con il suo miliardo e passa di abitanti rappresenta uno dei mercati mondiali più importanti, e la Cina, che intende sfruttare il corridoio pakistano per approvvigionarsi delle risorse iraniane.
Al centro della scacchiera si trova appunto il Pakistan, sesto paese al mondo per abitanti e felice possessore dell'ordigno atomico.
Ripercorrendo in breve la storia del paese, nato nel 1947 dallo smembramento della colonia britannica dell'India, si rileva un susseguirsi di giunte militari e governi pseudo-democratici che hanno portato alla popolazione solo sottosviluppo e repressione.
Il Pakistan è da sempre in conflitto con l'India per la regione contesa del Kashmir e ha avuto un ruolo decisivo assieme agli Stati Uniti nell'addestramento dei militanti anti-sovietici in Afghanistan.
L'India effettua nel 1998 alcuni test con ordigni nucleari, nello stesso anno il Pakistan risponde con test analoghi, cresce la paura della corsa agli armamenti e scattano le sanzioni internazionali.
Nel 1999 il generale Pervez Musharraf destituisce il presidente Sharif e prende il potere, la comunità internazionale reagisce con debole indignazione al golpe ma, dopo gli eventi dell'11 settembre 2001 e la rapida invasione americana dell'Afghanistan, gli storici rapporti tra Washington e Islamabad si rinsaldano in nome della lotta ad Al Qaeda.
Gli osservatori più smaliziati fanno notare che dietro alla decisione dell'amministrazione Bush di occupare il paese dell'Asia centrale ci sarebbe anche il progetto del gasdotto TAPI che dal Turkmenistan dovrebbe trasportare il gas fino all'India attraverso Afghanistan e Pakistan, un gasdotto che deve bypassare quindi la Russia e l'Iran.
Occorre dunque stabilizzare e contollare l'Afghanistan.
L'alleanza tra Usa e Pakistan è però controversa: da un lato Musharraf si mostra all'occidente come paladino dell'anti-terrorismo, dall'altro non fa nulla di concreto per contrastare la talebanizzazione di alcune province di confine per non inimicarsi i clan di etnia Pashtun.
Dal 2001 i circa 2400 chilometri di confine tra Afghanistan e Pakistan diventano terra di nessuno, ottimo contesto per il traffico di armi e di oppio; le province pakistane del nord-ovest si trasformano, parafrasando Elizabeth Rubin del New York Times, in una “casa di cura per la riabilitazione dei talebani”.
Il governo americano decide di sostenere l'alleato Musharraf nella lotta alle milizie talebane stanziate in Pakistan con finanziamenti ingenti, secondo un articolo pubblicato lo scorso 19 maggio dal Corriere Canadese questi fondi sarebbero stati usati dall'elite militare pakistana per sviluppare ulteriormente il proprio arsenale atomico.
Il Capo di Stato Maggiore dell'esercito americano, l'ammiraglio Mike Mullen, ha confermato questa voce in un'audizione pubblica al Senato.
Dal gennaio 2006, praticamente senza risonanza da parte dei media occidentali, gli Stati Uniti iniziano a compiere missioni militari in territorio pakistano.
Inizialmente si tratta di bombardamenti di roccaforti talebane con velivoli teleguidati Predator ma ben presto le forze speciali americane si spingono oltre la Linea Durand, il confine ormai fumoso tra i due paesi.
I raid statunitensi provocano inevitabilmente numerose vittime tra la popolazione civile rendendo più radicato il sentimento anti-americano e filo-talebano nelle regioni tribali pakistane.
Il generale Musharraf si trova così stretto nella morsa dei talebani e dell'opposizione, ormai screditato è costretto a dimettersi il 18 agosto 2008.
Il 6 settembre 2008 viene eletto presidente Asif Ali Zardari che continua la politica estera del suo predecessore.
Il nuovo presidente cerca di trovare un compromesso con i talebani concedendo l'applicazione della Sharia, la legge islamica, nella valle di Swat nonostante nella zona i combattimenti tra le milizie e l'esercito regolare siano iniziati apertamente nell'agosto 2008, mentre l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale è catalizzata dalle Olimpiadi di Pechino.
Ma Zardari viene considerato da molti come un burattino degli americani, infatti il governo cinese cerca un'intesa con i partiti non talebani che si oppongono al presidente pakistano per definire i futuri equilibri in nome degli interessi cinesi.
Pechino è un amico storico del Pakistan: gli investimenti cinesi nel paese sono ragguardevoli, dalla costruzione del porto di Gwadar (la Dubai del futuro) fino all'ampliamento della Karakorum Road.
Il governo pakistano in cambio è da anni impegnato nel contrasto dei gruppi appartenenti alla minoranza uigura che lottano contro la Repubblica Popolare Cinese per l'indipendenza dello Xinjiang.
Nelle ultime settimane è stato formalizzato l'accordo tra Iran e Pakistan per la costruzione del gasdotto IP, ovviamente con il beneplacito di Pechino che vuole investire per prolungare il gasdotto fino ai propri confini.
Il gasdotto IP vanificherebbe i piani americani rendendo l'Afghanistan una pedina marginale della partita energetica.
La Cina vuole dunque usare il Pakistan come testa di ponte nel “Grande gioco” delle risorse energetiche del Medio Oriente.
Il nuovo gasdotto deve però transitare per regioni tutt'altro che stabili e gli eventi delle ultime settimane dimostrano come in Pakistan sia in atto una vera e propria guerra civile: gli attentati suicidi sono all'ordine del giorno e il tentativo dell'esercito di debellare le milizie talebane per accontentare Pechino e Washington ha prodotto finora, secondo le agenzie ONU, circa 3000 vittime e quasi 2 milioni di sfollati.
La balcanizzazione del Pakistan è preoccupante, la presenza di ordigni nucleari in un paese così instabile rappresenta un pericolo non solo per la regione ma potenzialmente per tutto il globo.
C'è chi definisce l'AfPak “il nuovo Vietnam”, di sicuro questo scenario è attualmente il principale campo di battaglia degli equilibri geopolitici futuri.
Federico Capezza
thecapexcorp[at]yahoo.it